In questi ultimissimi giorni si è parlato molto di secondo posto.
C’è chi l’ha presa male e c’è chi ha gioito.
Mi son chiesta se vale la pena parlarne, ancora. Beh, la risposta immagino l’abbiate capita, altrimenti non sarei qui a scrivere.
Ho pensato a quanti bambini, a quanti giovani essere umani hanno visto quelle scene di giubilo e quelle di sgarbo.
Immagino saranno arrivate puntuali le domande:
“Perché si tolgono la medaglia?” in riferimento al gesto della squadra inglese nel momento della premiazione a conclusione del campionato europeo di calcio 2020, a seguito della perdita della partita.
“Perché è contento di aver perso?” in riferimento alla gioia del tennista Matteo Berettini nel momento della premiazione a conclusione del torneo di Wimbledon 2021, a seguito della perdita della partita.
Sono domande insidiosissime, come solo i bambini sanno porre.
Sono convinta che nelle parole che sapremo offrire loro potranno trovare in futuro la forza e l’umiltà di comportarsi da esseri umani capaci.
E credo che questa sia la parte più difficile dell’essere genitore, trovare le parole adeguate. Perché non esistono risposte, ma parole che possono aiutare a riflettere.
Scrivo questo per il semplice fatto che non esiste solo il nero o il bianco, e quindi giusto o sbagliato. E’ questo lo sforzo che dobbiamo fare come esseri umani adulti: uscire dalla gabbia della schematizzazione, della classificazione, perché è all’interno di esse che andiamo a soffocare emozioni, sentimenti e paure che sono legittime e che hanno bisogno di cura e attenzione per essere accolte e poi per essere comprese.
Guardando al gesto della squadra inglese come adulti abbiamo il compito di rispondere non tanto al gesto in quanto tale (perché sono irrispettosi, etc, etc…) ma alle parole e allo sguardo di chi chiede. E lo stesso vale per la gioia del tennista italiano.
Non dimentichiamo che i bambini sono la culla delle emozioni, le vivono a 360 gradi e dalla comprensione delle loro emozioni potrà sbocciare la bellezza che come essere umani portano con sé. E’ una bellezza che non va educata (= sono irrispettosi), ma guidata. Sono sì bambini, ma questo non significa che non hanno le risorse per trovare le risposte dentro di loro.
Un modo pratico e semplice è l’empatia. Come muoverla?
Beh, si potrebbe provare con “Secondo te come si sentono in questo momento?” e così via senza mai perdere di vista il contesto. Capiranno da soli che gli atleti inglesi si sono lasciati dominare dalla rabbia (quale bambino non la prova?), dalla superbia (sentirsi invincibili) e che non sono stati in grado di gestire queste emozioni rispetto al contesto che lì rappresentavano. Capiranno da soli che Matteo Berrettini era felice per essere arrivato fra i primi, perché essere secondo non significa non essere primo. Perché era soddisfatto del percorso che ha fatto, di sacrificio e di fatica.
Queste sono occasioni per aiutare loro a comprendere le proprie emozioni e le proprie frustrazioni e a capire che il modo di gestirle renderà loro persone felici oppure sgarbate.
E voi, cosa ne pensate?